Una dentista pediatrica con la passione per la scrittura, che partendo da Teramo ha fatto il giro del mondo, con romanzi che hanno emozionato profondamente i lettori. Con L’Arminuta, tradotto in oltre 30 paesi ha vinto numerosi premi e il prestigioso David Di Donatello per la miglior sceneggiatura. I suoi romanzi raccontano il lutto, l’abbandono, i rapporti familiari e i legami tra madri e sorelle. L’abbiamo incontrata alla Libreria Rinascita nell’ambito della presentazione del suo ultimo romanzo ‘L’età fragile’

Un libro in cui si intrecciano relazioni familiari e amicali che hanno come sfondo la fragilità umana che sembra non avere una età definita.

Siamo abituati a considerare come fragili le prime fasi di vita, in cui il bambino è totalmente dipendente dalle figure di accudimento e l’ultima, la vecchiaia, in cui si diventa fragili e di nuovo dipendenti dalle cure di qualcun altro. Ma in realtà tutte le fasi di vita possono esporci alla caduta, alla sofferenza e quindi alla fragilità. Nel romanzo incontriamo subito una figura che ci sembra fragile e cioè Amanda, la figlia della voce narrante Lucia. Poi andando avanti nella lettura scopriamo che ciascun personaggio sembra quasi reclamare per sé questa condizione di fragilità. Una condizione che quindi risulta essere comune a tutti gli esseri umani anche in vari momenti della propria esistenza. 

Compito della letteratura è quello di indagare, cercare di porre interrogativi e con questo libro lei ha detto che ognuno di noi deve imparare a riconoscere le proprie vulnerabilità e conviverci.

Secondo me questo è molto importante perché soltanto conoscendo le nostre fragilità possiamo anche scoprire i nostri punti di forza, le nostre risorse. Se non riconosciamo le nostre debolezze poi, non sappiamo nemmeno gestirle nella vita. Spesso accade per esempio che i maschi vengano educati a non mostrare le proprie fragilità, viene detto loro di nascondere lacrime e sofferenza. Ma è sbagliato. Soffocando le nostre emozioni, anche se dolorose e negative facciamo solo male a noi stessi provocando dei grandi disastri educativi.

Nei suoi romanzi ci sono sempre tante figure femminili, diverse tra loro ma profondamente legate l’una all’altra e accomunate da una grande capacità di resilienza di fronte a ciò che accade nelle loro vite. Qual è la condizione della donna oggi?

Nei miei romanzi c’è una grande prevalenza di figure femminili che si trovano ad affrontare situazioni difficili con famiglie complicate e una genitorialità poco presente. Sono storie di abbandono che può essere fisico ma anche psicologico. Perché c’è anche un abbandono in presenza quando i genitori cioè, sono fisicamente vicini ma non prestano le cure e le attenzioni che sono necessarie per la crescita di una persona. Io racconto questo ma ci sono anche importanti figure maschili alcune molto primitive, sono uomini arcaici, pastori. Figure paterne e non che con le loro caratteristiche definiscono meglio quelle femminili. Sullo sfondo poi c’è il territorio che considero come un personaggio. Credo che le geografie siano sempre determinanti nelle vite delle persone che nascono e crescono in un posto piuttosto che in un altro. I luoghi fanno la differenza e quindi io rappresento sempre questo territorio che è l’Abruzzo, una terra alla quale sono profondamente legata. 

Dentista di giorno e scrittrice di notte. Come convivono queste due anime? 

Ho iniziato a ridurre il mio impegno nella libera professione per avere più tempo da dedicare alla scrittura ma anche per accompagnare i libri verso i lettori.

Provengo da una famiglia contadina che ha sempre considerato la lettura e la scrittura come una perdita di tempo, quindi ho vissuto questa mia passione con un grande senso di colpa, dal quale piano piano mi sono liberata. Mi sono ribellata con forza a quel sistema di valori che ho sempre contestato e mi sono emancipata studiando all’Università e facendo un profondo lavoro su me stessa, per trovare una identità che fosse tutta mia.

Qualcuno ha detto che un libro è come un figlio, che una volta pubblicato non è più dell’autore ma di chi lo legge. Quando incontra i lettori e parlate di questo ‘figlio condiviso’ quali sono le emozioni che prova?

Questa domanda è molto bella, poiché riguarda una parte anche poco indagata della vita di chi scrive. Per me l’incontro con i lettori è sempre molto importante perché mi restituisce parti dei miei stessi libri che io non conoscevo totalmente. A volte un’osservazione getta un fascio di luce su qualcosa che tu hai messo nel romanzo ma di cui non sei completamente consapevole. Una semplice domanda solleva una questione, e ti porta ad esplorare emozioni a cui non avevi pensato. Io non credo che tutto sia nel dominio della consapevolezza per chi scrive e quindi lo scambio diretto con i lettori ti restituisce aspetti remoti che non avevi considerato’ e questa è una cosa bellissima.

  di Veruska Cestarelli 

Puoi ascoltare l’intervista che Veruska Cestarelli ha raccolto per Radio Ascoli cliccando qui.