L’ultimo lavoro di Carofiglio, “La disciplina di Penelope”, è un giallo a voce narrante femminile. Penelope ha tratti epici. E’ Una donna durissima e fragile, carica di rabbia e di dolente umanità. Una figura contraddittoria fin dalle prime battute, non sembra essere affatto disciplinata come d’altronde riconosce lei stessa “ogni tanto pensavo all’assurdità delle mie abitudini alimentari e in genere del cosiddetto mio stile di vita, perfetta alimentazione salutista insieme a superalcolici e consumo smoderato di sigarette, facce diverse della stessa incapacità di trovare un equilibrio”. Lo è sia a livello alimentare che relazionale, ed anche professionale come si intuisce anche dalla sua destituzione da pubblico ministero.
Non riesce a dimenticare quel che è stato, non riesce a farci i conti, è un’anima dolente E’ un “cane sciolto”, che cerca di sopravvivere, che cerca scampo al dolore, che cerca equilibrio.

Gli elementi de “La disciplina di Penelope”

Accanto agli elementi caratterizzanti il romanzo giallo – ricerca di testimonianze, sopralluoghi, appostamenti – si dipana così, attraverso l’analisi auto-ironica delle sue inquietudini e inadeguatezze, l’amara considerazione dell’ irresponsabilità, il carattere di Penelope.

Il tema del dolore

“La disciplina di Penelope” allora, in fondo, oltre che un vero e proprio giallo potrebbe essere considerato un manuale di terapia contro il dolore. Fin dalle prime battute infatti, Penelope ci mostra come il dolore si possa vincere col linguaggio quando, ascoltando la relazione dell’imputato osserva come: “le parole molto precise di un teste che dovrebbe essere coinvolto emotivamente, possono significare menzogna ma possono anche esprimere un tentativo di difesa dall’impatto doloroso di un’esperienza traumatica. La precisione linguistica viene così in aiuto quando bisogna affrontare eventi traumatici, un linguaggio freddo e distante consente di tenere la sofferenza sotto controllo. Ognuno si difende dal dolore e dalla paura come sa e come può”.

Questo aiuto proveniente dal linguaggio sembra poi ribadito anche dal suo psichiatra. Questi “diceva che per affrontare la rabbia fuori controllo dovevo imparare a dare un nome ai sentimenti, alle emozioni. Dare un nome alle emozioni negative riduce il loro potere su di noi”. “ll più potente degli psicofarmaci è un buon vocabolario”. In questa ricerca, in questo scavo psicologico, emerge, nei momenti cruciali, la figura della nonna Penelope. Una donna brillante, colta, sempre in viaggio ma tenerissima con la piccola e capace di intuire i suoi bisogni più profondi, come pure le sue peculiarità caratteriali; ricorda infatti per es. quando “le diceva che le cose più stupide le fanno le persone intelligenti”.

L’intelligenza causa di catastrofi

Riflettendo, su quelle parole enigmatiche, la giovane conviene che in effetti “le persone molto intelligenti fanno errori catastrofici non, nonostante la loro intelligenza, ma proprio a causa della loro intelligenza. Quando sei molto dotata in un campo specifico sei portato a pensare che questo talento valga per tutto, perdi la visione delle varie possibilità, del fatto che, per minimi dettagli, indipendenti dal tuo controllo, le cose potrebbero andare diversamente. Come il gioco d’azzardo un modo per sfuggire alla sensazione insopportabile che non abbiamo il controllo delle nostre vite”.

Le indagini

Ecco, Il “controllo” il bisogno di controllo, altro “farmaco” contro il dolore esso stesso, causa però esso stesso di dolore. Allora la ricerca di disciplina, di equilibrio tra desiderio di controllo e bisogno di libertà, leggerezza. Nuovo elemento di consapevolezza che emerge in questa indagine poliziesca dai connotati di indagine psicologica è poi, l’avvenuta consapevolezza del bisogno di approvazione. Il suo “stupido bisogno di approvazione prende le forme più diverse e imprevedibili ”le fa compiere magie davanti alla piccola orfana facendole scoprire che “ è facile saperci fare con i bambini se non se ne ha la responsabilità. Quasi sempre quelli che piacciono molto ai bambini sono gli stessi che non sono capaci di occuparsene davvero quotidianamente.”

Di nuovo ricerca di disciplina in questo caso tra cura e svago, responsabilità e gioco. L’evolversi dell’indagine porta ad un certo punto, Penelope a conoscere un altro personaggio femminile: la proprietaria della boutique. Lei le mostra abiti raffinatissimi che potrebbe esaltare col suo fisico asciutto, di fronte a quella proposta allettante Penelope però si rende conto che, già da tempo, sta attivando un altro meccanismo di difesa. Mortificando la sua femminilità sta riducendo all’essenziale il suo abbigliamento e questo perché “ridurre il numero delle scelte è un gran sollievo, aiuta a contrastare l’angoscia.” Di nuovo allora ricerca di disciplina: questa volta tra scelta estetica e scelta di libertà, di comodità.

La conclusione

Le indagini sono ad un punto morto, una sera Penelope fa una cosa che voleva fare da tempo: prende il libro della nonna posto sullo scaffale. Legge la dedica che lei le aveva scritto con la sua grafia “piena di punte, audace, a tratti rabbiosa, senza tremolii nonostante la malattia”:

“Sentirai il tuono e mi ricorderai/pensando: lei voleva la tempesta./l’orlo del cielo/avrà il colore del rosso intenso, /e il tuo cuore come allora, /sarà in fiamme.”

E allora finalmente capìsce: “Lei voleva la tempesta” lei voleva ciò che la disciplina imponeva, capìi che “la nonna era disciplinata ma non sottomessa”. Capìsce che la vera disciplina non obbliga alla sottomissione: “mi piacque molto, mi parve un’intuizione e, forse, un insegnamento. un modo di essere nel mondo e una possibile soluzione, una scelta”.

“La disciplina di Penelope”

Editore: Mondadori

Collana: Il giallo Mondadori

Anno edizione: 2021

Pagine: 192 p., Brossura Anna Maria Laurano

annamarialaurano@libero.it