Tra le opere più rare e pregevoli sia dal punto di vista artistico che cultuale conservate nella Pinacoteca Vescovile è sicuramente da annoverare lo straordinario corpus di tessili della sepoltura di Sant’Emidio. I tessili sono rimasti celati per quasi un millennio all’interno del sarcofago che contiene le reliquie del Santo venerate nella cripta della Cattedrale di Ascoli Piceno.

Allestimento

I tessili della sepoltura sono esposti in un nuovo allestimento. La nuova disposizione permette di comprendere la loro funzione e i rimandi immediati alle opere d’arte coeve che li raffigurano insieme alle sete ritrovate nel busto reliquiario di S. Benedetto Levita. Ed inoltre ai tessuti provenienti dal sarcofago anticamente collocato dietro l’altare di Sant’Emidio e dal 1964 spostato nell’area cimiteriale sotto la Cattedrale. In questi, come scriveva nel 1898 Don Pietro Capponi, “era stato il corpo del Santo prima di essere riposto in quello dov’è presentemente”.

Il rinvenimento

Li rinvenni con grande stupore nel 2006, durante i lavori di restauro del secondo piano del Palazzo Vescovile, dove erano stati fatti trasportare dal vescovo Morgante. Erano avvolti e legati da nastri, in una delle quattro casse di legno originali che per un millennio avevano custodito nel sarcofago i resti di S. Emidio e dei compagni Euplo Germano e Valentino. Quindi dopo la traslazione dal sepolcreto di Campo Parignano nella cripta della Cattedrale avvenuta sotto il vescovo Bernardo II (1045-1069).

Una scoperta storica

Dalle ricognizioni canoniche effettuate dal Vescovo Gambi nel 1718 e dal Vescovo Marana nel 1758 si avevano notizie generiche sulla presenza di pregiati tessuti antichi nelle casse. Poi quella effettuata dal Vescovo Morgante nel 1959 ne aveva definitivamente confermato la presenza. La notizia del loro ritrovamento pubblicata il 4 Febbraio 2007 sull’Osservatore Romano ebbe subito eco internazionale suscitando interesse e attestando l’importanza della scoperta. Dopo un’approfondita analisi stilistica e storico-artistica i tessili della sepoltura vennero restaurati, esposti in diverse mostre e conservati nel Museo Diocesano.

I tessili della sepoltura

I tessili della sepoltura sono tre. Il primo è uno sciamito decorato da rotae o orbicoli contenenti due cavalieri che affrontati cacciano con l’arco. Il secondo è una tovaglia di lino tagliata in due pezzi, con i bordi decorati da poligoni color rosso porpora contenenti figure di senmurv, galli o fenici. Il terzo infine è un manutergio di cotone lavorato a bouclè ornato ai bordi da decorazioni rosse. Lo sciamito consiste in uno straordinario tessuto in seta operato a sei licci o sciamito con dimensioni del passo del telaio di cm. 122×150. Il disegno presenta orbicoli o rotae delle dimensione di cm. 40/43. Ed inoltre è caratterizzato da diversi colori di origine vegetale come il giallo arzica ricavato dalla reseda luteola, il verde ricavato dall’unione della reseda e dall’indaco o guado, il rosso/rosa dai fiori del càrtamo ed il lilla/violetto dall’oricello ed è databile tra l’VIII ed il IX secolo.

Il telo, rarissimo sia per le notevoli dimensioni che per il suo straordinario stato di conservazione, misura integralmente il passo da cimosa a cimosa e presuppone per la sua tessitura un telaio di grandi dimensioni che in questo periodo risulta presente solo in area medio-orientale a influenza sasanide, probabilmente la Siria. Un’ulteriore conferma sulla sua provenienza è data dall’esecuzione accurata e dettagliatissima con l’uso di più colori tra i quali lo smeraldo. Perdipiù un colore simbolo e distintivo delle manifatture orientali ed in particolare iraniche, ottenuto dal guado e dall’indaco.

Le testimonianze sulla loro provenienza

Le testimonianze fondamentali dell’importazione di questi tessuti in Italia e dei rapporti tra Oriente ed Occidente nell’alto medioevo trovano ampie tracce nel Liber Pontificalis. Quest’ultimo elenca sia le loro caratteristiche stilistiche sia la loro provenienza dall’Asia, dalla Siria, da Cipro e da Bisanzio e per la loro preziosità li indica come degni a conservare le reliquie dei martiri.

I modelli più noti sono conservati nel Museo della Basilica di S. Ambrogio a Milano proveniente dall’altare di Vuolvinio, nel Museo di Saint-Calais, nel Museo Diocesano di Colonia, nel Museo Sacro Vaticano, nel Musée de Cluny, nel Capitolo del Duomo di Praga, nel Tesoro della Cattedrale di S. Gallo, nei Civici Musei d’Arte e Storia di Brescia, nel Victoria and Albert Museum e nel British Museum di Londra. Ma quasi tutti sono in stato frammentario e di dimensioni molto più ridotte rispetto a quello ascolano.

L’origine

Una assoluta identità del cartone e del soggetto è con quello che avvolgeva le reliquie di S. Cuniberto (590-663) Arcivescovo di Colonia e prima Arcidiacono di Treviri. È da evidenziare che S. Ambrogio, S. Cuniberto e S. Emidio erano originari di Treviri, l’antica Augusta Treverorum fondata dall’imperatore Augusto e nel IV secolo residenza dell’Imperatore Costantino. Proprio a Colonia si era recato il vescovo Presbitero (1126-1125) per omaggiare l’imperatore Corrado II che tra vari privilegi gli concesse anche il titolo di Principe di Ascoli.

L’iconografia dello sciamito ascolano presenta una forte simmetria speculare e interessanti rapporti chiastici di chiara matrice sasanide. Il motivo principale interno agli orbicoli rappresenta due arcieri a cavallo con tiare ad antenna, speculari e con andamento divergente ma rivolti al centro. Mentre scoccano all’indietro il colpo detto persiano mirando reciprocamente nella direzione opposta. Prende spunto da alcuni topoi della cultura iranico-sasanide relativi all’iconografia del re a cavallo come Shapur IV e Bahram V, dalla bardatura dei cavalli con i nastri tipici, all’armamentario di sella, al tipo di arco, alle casacche gallonate e all’uso degli anassiridi.

I personaggi raffigurati

I personaggi non rappresentano una caccia reale, ma la simbolica e speculare raffigurazione dell’albero della vita. Infatti troviamo una palma ricca di frutti e popolata da animali, intorno alla quale l’identità degli opposti si fronteggia e sono mostrati nell’atto di uccidere contemporaneamente un felino maculato che azzanna un onagro, sottolineando la reinterpretazione in chiave simbolica dell’iconografia della caccia reale. La cornice degli orbicoli è decorata da elementi floreali contenuti tra un decoro interno ad astragalo con fuselli e perline e uno esterno ad intreccio.

I vuoti tra le rotae sono colmati da intrecci vegetali con al centro medaglioni che alternano a motivi cruciformi motivi a fiore. Il secondo manufatto è una rarissima tovaglia d’altare di lino di probabile produzione copto-bizantina collocabile tra i secoli X e XI. Ha bordi decorati a trame supplementari in seta rossa, delle dimensioni di cm.162×127 e altezza del decoro di cm.76 tagliata in due pezzi con differente stato di conservazione. Il lino di fondo è operato con motivi geometrici a fasce intrecciate a losanghe. Mentre il decoro sia all’interno che all’esterno di poligoni irregolari riporta grandi volatili crestati dalla complessa struttura geometrica circondati da più piccoli anseriformi di cui alcuni posti fuori dai poligoni affiancano l’hom stilizzato.

L’iconografia

L’iconografia attraverso il colore e le immagini sottolinea l’uso liturgico e il forte valore simbolico del manufatto. Il primo attinge alle prescrizioni riportate nel Liber Pontificalis dove si parla del lino candido e del rosso porpora come simboli del sudario di Cristo e del suo sacrificio. Mentre l’immagine del senmurv-fenice richiama il tema della resurrezione e l’anser il tema dell’anima e del trapasso rafforzando così la pregnante simbologia del colore. Il terzo manufatto è un manutergio databile tra il X e l’XI secolo, delle dimensioni di cm.132×75 in cotone decorato da fasce con un motivo in seta rossa a trame supplementari con elementi geometrici e animali stilizzati.

di Michele Picciolo, Direttore Scientifico della Pinacoteca Vescovile