Ad un mese dall’attacco di Hamas in Israele, che ha dato inizio alla nuova guerra all’interno di una storia che si trascina dal 1948, la questione Arabo-Israeliana, a radio Ascoli abbiamo intervistato Pietro Frenquellucci, giornalista, profondo conoscitore di queste terre e autore di due libri: “Coloni. Gli uomini e le donne che stanno cambiando Israele e cambieranno il Medio Oriente”, del 2021, e “Israeliani contro. La battaglia per i diritti umani dei palestinesi”, uscito a maggio di quest’anno.

Perché in Italia il dibattito su questa guerra è così litigioso e diviso in tifoserie?

Io credo che il motivo fondamentale sia che in Italia la dinamica sia abbracciare una tesi piuttosto che l’altra in base a quello che siamo, non a quello che succede. Per cui, se nella nostra storia abbiamo una tradizione di un certo tipo, oggi ci schieriamo da una parte piuttosto che dall’altra, senza, a mio avviso, renderci conto che è la cosa peggiore che si possa fare se veramente si ha a cuore la soluzione di questo conflitto. Perché schierarsi significa esasperare gli animi dell’una o dell’altra parte, far sentire l’una o l’altra parte accerchiata, senza possibilità, senza via d’uscita, disperata e metterla nella condizione di reagire nel modo peggiore che ci possa essere.

Quindi credo che tutti coloro che, oggi, indossano una casacca per leggere tutti gli eventi terribili che stanno succedendo in quella piccola parte di mondo facciano un torto proprio a chi magari cercano di sostenere.

Quello che colpisce di più in questi giorni è l’ineluttabilità della spirale dell’odio: bambini di 8 anni che sanno già che da grandi faranno i combattenti. È possibile, invece, interrompere questa spirale?

Interrompere la spirale è un po’ il sogno della storia degli ultimi cento anni di questa terra, sono le tantissime proposte che sono state pensate, sono i grandi fallimenti della politica internazionale. Oggi la cosa più terribile da constatare, al di là delle vittime, è che in realtà né da una parte né dall’altra ci sono dei leader in grado di assumersi la responsabilità storica di una decisione, anche difficile, da far capire al proprio popolo. La mia impressione è che i leader, invece di guidare le proprie nazioni, le assecondino indipendentemente da quelli che poi possono essere gli sviluppi e il loro futuro. Quindi, credo che in questo momento da questa spirale difficilmente si possa uscire.

In un servizio di Francesca Mannocchi, un bambino palestinese chiedeva perché la comunità internazionale, che si è schierata con i bambini ucraini che morivano sotto le bombe, non sostenga anche loro, che sono vittime allo stesso modo. Cosa potremmo rispondergli?

Il bambino della Cisgiordania è l’esempio classico di questo fallimento, è l’esempio di un futuro forse negato anche e soprattutto per colpa di tantissimi protagonisti, perché se noi allarghiamo il campo e non ci limitiamo solo a vedere quello che accade oggi tra la Cisgiordania e Israele, tra Gaza e Israele, tra il Libano e Israele, vediamo che su quel risentimento e su quella disperazione soffiano venti che vengono da molto lontano. Arrivano dall’Iran, dagli Stati Uniti, dall’Iraq, da tante realtà che in qualche modo insieme collaborano perché quel bambino si guardi avanti e dica: “Io non ho altre possibilità che fare il combattente.

Guardando al futuro, quale può essere l’ipotesi più fattibile oggi per dopo che sarà finita la guerra- Diamo per scontato che Hamas venga distrutta come vuole Israele; e poi?

Appena scoppiato il conflitto, gli americani hanno cominciato a porre questa questione a Israele: che cosa volete fare? Israele esclude la possibilità di rioccupare Gaza come era prima del 2005, quando Sharon decise di abbandonare completamente quel territorio, togliere tutti gli insediamenti ed escludere ogni presenza militare israeliana in quei 360 chilometri quadrati. Che cosa fare dopo: oggi sta emergendo l’ipotesi di poter riesumare l’autorità nazionale palestinese, in grande difficoltà non solo dal punto di vista dei rapporti con Israele, ma anche in difficoltà rispetto al proprio popolo, alla propria gente: credibilità oramai quasi pari a zero, capacità operative ormai quasi a zero, basta che Israele decida di non versare le trattenute che prende sulle tasse o sul commercio e l’Anp non riesce a pagare gli stipendi. Però, se vogliamo essere concreti e pratici, forse è l’unica reale possibilità di dare una svolta a questa situazione al termine della guerra, anche perché Hamas negli ultimi mesi ha perso molto del supporto a Gaza, sia a causa delle promesse fatte e infrante sia per le guerre continue hanno sfinito le popolazioni.

Una luce in questa situazione sono le tante associazioni pacifiste che operano sul territorio e non solo: queste possano lavorare efficacemente per la pacificazione? Perché al di là dei governi ci sono le persone.

Esatto: al di là dei governi ci sono le persone. Gli accordi di pace che fino ad oggi sono stati sottoscritti tra Israele e alcuni paesi arabi, come l’Egitto e la Giordania, sono tra governi, tant’è vero che tutte le volte che si surriscalda il clima in Medio Oriente vediamo gigantesche manifestazioni contro Israele e quando si parla, sui giornali dell’area, della pace con l’Egitto, questa viene definita “fredda”.

Il discorso dei popoli è fondamentale. Il mio secondo libro è centrato proprio sul mondo dell’associazionismo per la pace in Israele, che io definisco una galassia, proprio perché composto di associazioni, organizzazione, attivisti che hanno uno scopo duplice e prioritario: da un lato promuovere un clima che possa tener vivo un dialogo tra israeliani e palestinesi, dall’altro cercare di far capire che oggi il tema fondamentale è quello della costruzione di un sistema di rapporti tra israeliani e palestinesi che tuteli i diritti umani dei palestinesi.

Molte di queste associazioni e organizzazioni sono composte da israeliani e palestinesi. Io ho incontrato il responsabile di una di queste, la Parents Circle Family Forum, che mette insieme le famiglie israeliane e palestinesi che hanno avuto delle vittime nel conflitto. Per tenere vivo un dialogo, per condividere il dolore vanno nelle scuole, nei centri sociali, nell’esercito per fa capire che chi perde una persona cara sente un dolore che è lo stesso indipendentemente se stia di là da un confine o dall’altra parte. Le esperienze che raccontano sono straordinarie: dolorosissime ma ricche di umanità, di prospettive che si creano quando il rapporto si instaura e si lavora insieme per costruire un futuro migliore anche per quei bambini di cui parlavamo prima.

Pietro Frenquellucci presenterà il suo libro “Israeliani contro. La battaglia per i diritti umani dei palestinesi” sabato 18 novembre presso l’Auditorium Neroni della fondazione Carisap dalle 17.30. L’incontro è organizzato dalla libreria Rinascita. Con l’autore dialogherà lo storico Costantino Di Sante.