Com’è la situazione in Afghanistan a meno di un anno dal ritorno del regime talebano?

Ne abbiamo parlato con Raffaela Baiocchi, ginecologa, ascolana, responsabile di Emergency per i progetti legati alla salute delle donne, profonda conoscitrice di questa terra martoriata da oltre quarant’anni di conflitto.

Di Afghanistan, per diversi motivi, si parla molto poco: com’è la situazione?

La situazione è in movimento, dal cambio di regime le varie forze sul campo stanno prendendo spazio in una maniera più strutturata. È una situazione in evoluzione su vari fronti, innanzitutto quello politico perché i talebani non sono un gruppo unico, ci sono altre forze che hanno preso il paese insieme a loro e i ruoli di queste varie forze si vanno definendo nel tempo. L’impressione è che non sia l’ala moderata quella che stia prevalendo, tuttavia tante situazioni sono ancora in corso.

I giornalisti sono sempre di meno e la voce di quelli liberi è praticamente scomparsa, ci sono poche notizie che filtrano dal paese e c’è poca attenzione in un momento in cui invece la comunità internazionale, visto il ruolo che ha avuto in tutto questa disfatta, dovrebbe invece mantenere l’attenzione alta.

C’è una profonda crisi economica e tanti professionisti appartenenti alla classe dirigente hanno lasciato il paese, che si è molto impoverito anche di capitale umano.

Com’è la situazione della donna?

Se n’è parlato tanto ma a poca ragion veduta e c’è un grande equivoco.

La situazione è un po’ varia: le donne escono di casa e vanno a lavorare anche se non in tutti i settori.

Nella sanità sono state incoraggiate fin dal primo minuto dal nuovo governo a continuare ad andare a lavorare. Tutti gli ospedali di maternità in Afghanistan sono aperti; le dottoresse, le ostetriche, le infermiere sono tutte al lavoro, le università private sono aperte. Le nostre ostetriche che stanno facendo anche il corso di laurea in medicina, per motivi di conciliazione degli impegni di lavoro con quelli di studio, lo fa nelle università private e stanno dando gli esami. Le bambine alle elementari stanno andando a scuola.

C’è il problema delle scuole secondarie, per le quali c’è questa continua posticipazione della riapertura, imputata alla necessità di allestire le strutture per separare il percorso dei ragazzi da quello delle ragazze, in un’età considerata critica. Non sappiamo se e quando le ragazze rientreranno a scuola, ma è una questione su cui si dovrebbero mantenere gli occhi puntati.

Quello che è cambiato è la condizione delle donne in generale collegata al fatto che la popolazione è in sofferenza soprattutto per la crisi economica, i costi dei carburanti, i costi dei beni di prima necessità. L’Afghanistan non è mai stato un paese ricco, muoversi per andare in un ospedale è un investimento per molte famiglie e noi abbiamo visto che sempre di più le donne e i bambini arrivano all’ultimo momento. È una questione trasversale legata al peggioramento delle condizioni di tutti a tutti i livelli.

In questo contesto Emergency riesce a continuare a lavorare?

Sì, anzi ci stiamo allargando, perché è nostra convinzione voler rimanere e dare sempre di più a questa popolazione vessata da 40 anni di guerra secondo le proprie necessità. Infatti, con questo nuovo anno accademico iniziato la scorsa settimana, abbiamo aperto una nuova scuola di specializzazione in anestesia, la prima in tutto il paese.

Noi andiamo avanti mettendoci la nostra progettualità e il nostro impegno, soprattutto dando lavoro e formazione a tantissime persone in tre parti del paese. Siamo molto impegnati sulla crescita formativa delle figure professionali che lavorano con noi, soprattutto i medici

Dove si trovano le scuole di formazione promosse da Emergency?

A Kabul, dove abbiamo l’ospedale per vittime civili della guerra, la scuola di specializzazione in chirurgia traumatologica e da quest’anno quella in anestesia, più un fellowship, un corso post universitario, per la terapia intensiva.

A Lashkar-gahl, a sud ovest del paese, nell’ospedale per le vittime civili della guerra, che è stato davvero in mezzo alla guerra per i 15 anni in cui ha lavorato, è attiva la scuola di specializzazione in chirurgia.

Infine, c’è l’ospedale dove io lavoro quando vado in Afghanistan che è nella valle del Panshir, una delle poche aree dopo agosto in cui si è combattuto attivamente. Questo non è solo un ospedale per vittime civili di guerra, ma qui si fa chirurgia ordinaria, c’è una grande maternità con una neonatologia e una clinica pediatrica e ci sono le scuole di specializzazione in chirurgia, ginec