In una Roma martoriata da una potente siccità -così violenta da prosciugare il Tevere- Paolo Virzi racconta le storie di un gruppo di sconosciuti accomunati da profonde difficolta affettive. Mentre tentano di risolvere i loro problemi personali dovranno fare i conti con un’ulteriore minaccia: lo scoppiare di una pandemia causata dalla mancanza dell’acqua.

Siccità. Una crisi idrica e morale

La Siccità che, dà il nome al film, è la metafora che il regista fa della crisi dei valori che imperversa la società moderna. Il film, terribilmente attuale vista l’ultima torrida estate trascorsa, porta alle estreme conseguenze il fenomeno della mancanza idrica mostrando quando l’uomo può cadere in basso nelle situazione di gravità collettiva. La fotografia, filtrata color seppia, sottolinea l’aria torrida che imperversa sulla capitale. Una calura che ci rende tutti più sporchi: materialmente e mentalmente. Un caldo che assopisce i sensi –non a caso l’epidemia che scoppia è proprio quella della Malattia del sonno- rendendoci tutti stanchi e disattenti incapaci di cogliere le cose veramente importanti.

Il film è un delirio ad occhi aperti: la narrazione si evolve tramite frammenti, celando informazioni utili per comprendere la storia. Tutte le convinzioni che ci facciamo vengono prontamente smentite con nuovi dettagli. Solo alla fine si ha un idea precisa di cosa sta succedendo, quando tutte le carte sono celate sul tavolo, quando si scopre come tutti i nostri sconosciuti sono legati da un sottile filo invisibile. A far da contorno a tutto ciò è una Roma quasi post apocalittica. Visivamente vedere il Tevere prosciugato è spettacolare quanto inquietante. Roma sembra una cattedrale in un deserto, ben lontana dalla città che domino il mondo 2000 anni fa.

Una grande proliferazioni di personaggi

La presenza di un cast corale permette di creare una storia con tante sfaccettature. Gli attori in scena riescono ad analizzare tutti il popolo romano offrendo personaggi provenienti da ogni ceto sociale mostrando come la crisi di valori sia totale. L’incapacità di comunicare tra simili non è una questione economica ma sembra essere una regola implicita per vivere in questa società.

Tanti personaggi vogliono dire tante storie da narrare. Il difetto più grande di questo film è racchiuso in questo paradigma. Il regista apre la porta a tante tematiche che cercano di coprire il più possibile lo spettro dei difetti del mondo che ci circonda. Le tante problematiche proposte non hanno il tempo per essere analizzate al meglio e il risultato finale risulta un agglomerato di problemi buttato nel calderone della sceneggiatura per far numero. Problematica è anche la volontà di voler unire insieme tutte le storie narrate. Il filo che unisce tutti i personaggi risulta approssimativo, spesso troppo banale per essere preso sul serio. Ciò costruisce delle figure più simili a macchiette che a veri e propri personaggi.

Un film coraggioso

Virzi prova a costruire un film post apocalittico basandosi su due paure molto vicine: la perdita delle nostre comodità e lo scoppio di una nuova epidemia che posso cambiare nuovamente le nostre abitudini. Un film impegnato per chi vuole passare una serata osservando il punto di vista di un’autore, Virzi, sulla realtà catastrofica che ci circonda.

Voto: 5.5

Di Quinto De Angelis