L’autrice

Lucrezia Ercoli insegna “Storia dello spettacolo” all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Dal 2011 è direttrice artistica di “Popsophia“, il festival internazionale di “pop filosofia” che si svolge nelle Marche e ospite fissa del programma televisivo “Terza Pagina”di Rai5. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Filosofia all’Università Roma Tre, dopo essersi laureata in Filosofia a Padova.

Lucrezia Ercoli ha insegnato nel Master “Formazione Musicale e dimensioni del Contemporaneo” e collaborato con le cattedre di “Estetica Musicale” e “Filosofia Morale” dell’Università degli Studi di Roma Tre. Ha scritto la prima monografia filosofica su Curzio Malaparte dal titolo “Philosophe Malgrè Soi. Curzio Malaparte e il suo doppio” (Roma, 2011), con la quale ha vinto il premio di “Frascati Filosofia, Opera Prima”. Per la casa editrice Mimesis ha pubblicato la monografia “Filosofia della crudeltà. Etica ed estetica di un enigma” (Milano 2014).I suoi ultimi saggi: Yesterday. FIlosofia della nostalgia (Ponte alle Grazie, Milano 2022), Dieci passi all’inferno (Il lavoro editoriale, Ancona 2021) e Chiara Ferragni. Filosofia di una influencer (Il Melangolo, Genova 2020).

Filosofia della crudeltà

Nel saggio “Filosofia della crudeltà”, Lucrezia Ercoli sottolinea che “la crudeltà ci sommerge. Siamo circondati da comportamenti crudeli, inorridiamo di fronte a immagini crudeli, stigmatizziamo personaggi bollandoli come crudeli. Questo moltiplicarsi di fotografie, riprese, suoni e notizie che caratterizzano la crudeltà contemporanea ha portato una sorta di narcosi del pensiero. L’eccesso di immagini determina l’incertezza e l’equivocità del significato di crudeltà. Dietro alla quotidiana e disordinata enumerazione di azioni crudeli c’è un nodo problematico intorno al quale la filosofia non ha ancora debitamente investigato : Che cos’è la crudeltà?”.

Crudeltà

Per tratteggiarne il profilo filosofico è bene allora iniziare dalla sua etimologia. Crudeltà deriva dal latino crudelitas, l’etimo della parola latina è crudus, crudo, e crudo vuol dire: duro, acerbo, ma anche non cotto, non preparato. Il pensiero simbolico contrappone il crudo, ciò che non ha subito intervento da mano umana, al cotto, ciò che è segnato, invece, da un’elaborazione culturale. Il passaggio dal cibo crudo al cotto simboleggia il passaggio dalla natura alla cultura. La crudeltà è quindi cruda perchè riporta a uno stadio pre- civile. L’atteggiamento crudele è una deviazione dal lineare percorso che conduce dal crudo al cotto, dalla natura alla cultura. Anche per Aristotele la crudeltà è una forma di “bestialità”.

Crudele non è umano

Anche M. De Montaigne stigmatizza la disumanità del comportamento crudele che ha i caratteri della mostruosità. L’uomo è un “animale razionale” ma per esserlo compiutamente deve vigilare sulla tendenza regressiva dell’istinto. Così, in due semplici mosse, è stato sancito che ciò che è crudele non è umano e ciò che è umano non deve presentare segni di crudeltà. La riflessione sulla radice etimologica di crudeltà rimanda anche a un altro termine, altrettanto interessante dal punto di vista filosofico: cruor, sangue. Si potrebbe sbrigativamente concludere che la crudeltà sia legata al piacere provocato dallo scorrere del sangue e dalla sofferenza fisica che scopre la carne viva e smembra il corpo. Ma ciò sarebbe parziale.

Il sangue è anche l’energia vitale, il liquido indispensabile che anima il corpo. sangue come indizio elementare della vita. il riferimento al sangue quindi genera coppie antitetiche: morte e nascita, violenza e generazione. Si configurano , quindi, due definizioni contrapposte: da un lato crudeltà come regressione alla bestialità, dall’altro crudeltà come desiderio dell’umanità. La cancellazione razionale della dimensione crudele passa allora per la violenza e per il sangue.

Il rapporto con la natura

La ragione- in quanto prodotto umano- non è estranea alla crudeltà, anzi può esserne il veicolo privilegiato. Il rapporto con la natura deve basarsi sul dominio: l’uomo si libera dalla natura sottomettendola. ma la soluzione non è che una riproposizione del problema: proprio questa emancipazione del pensiero dalla crudeltà della natura instaura un dominio altrettanto opprimente. la ragione che vuole dominare completamente la crudeltà è destinata a diventare crudeltà. Liberando la parola dal suo termine abituale e perfino usurato di crudeltà Artaud opera quella che Deridda definisce una paleonimia: conservare un vecchio nome per un concetto nuovo.

L’essere nel suo intimo è già spasmo dell’essere perciò crudeltà, la vita metafisicamente parlando, in quanto ammette l’estensione, lo spessore, la pesantezza e la materia, ammette di conseguenza il male e tutto ciò che è inerente al male, allo spazio e all’estensione della materia. La crudeltà allora non è separata dall’umano, non è una deviazione dal percorso che conduce dalla natura alla cultura ma appartiene già da sempre all’umanità: è legata indissolubilmente agli eventi che caratterizzano la parabola dell’esistere, quali la nascita e la morte; è quanto di più vicino alla radice della vita. La crudeltà anzi coincide con quel nucleo fragile e inafferrabile, sanguinante e corporeo che è la vita umana.

La rinuncia all’illusoria consolazione

Se si vuole entrare in contatto con questo magma bisogna avere il coraggio di rompere la prigione della cultura che impedisce il fluire caotico dell’esistere. Crudeltà è allora lo svelamento messo in opera da un’arte che non teme di guardare la legge che governa la vita, è un viaggio nella tenebra che si rivela esercizio filosofico indispensabile per svelare la duplicità inquietante che si cela dietro a concetti apparentemente consolidati e familiari.

Crudele e necessario è così il percorso di una filosofia che, per essere interpretazione aperta ed inesauribile, deve rinunciare ad ogni illusoria consolazione. Deve essere PARRESIA deve avere il coraggio di parlar chiaro, di gridare la verità anche quando la verità è crudele. Il pensiero della crudeltà non si appiglia perciò ad alcun sistema valoriale, non si appella ad alcun sistema classificatorio, produce inquietudine generativa: partorisce la tensione e l’incertezza che provoca il dubbio. Avvicinare la crudeltà significa così riappropriarsi della vita, in tutta la sua purezza e in tutto il suo orrore. Non ci si può rivolgere al logos per spiegare la natura della crudeltà, ma al mythos- una forma plastica e aperta di narrazione, che riesce a nominarla senza giudicarla.

Una definizione a posteriori

L’idea di crudeltà non esiste: è sempre una definizione a posteriore di ciò che non riusciamo a comprendere, di ciò che non riusciamo a incasellare nella normalità, ma la sua analisi si rivela una pratica indispensabile per svelare l’ombra che ci cela dietro alle certezze chiare ed evidenti. Concetti consolidati- come l’identità, la sessualità, la civiltà, la morale, la coscienza, il potere-si sgretolano. Si genera un grido liberatorio che atterrisce e fa tremare l’universo (Cioran). Riuscire ad ascoltarlo vuol dire posizionare la filosofia nel mezzo di una selva oscura che ci costringe a essere attenti e sospettosi.

Autore: Lucrezia Ercoli
Editore: Einaudi
Anno edizione: 2014

Anna Maria Laurano anna maria laurano@libero.it