Il vescovo della diocesi di Ascoli Monsignor Giampiero Palmieri, in una lettera aperta, ha espresso un suo parere relativo alla campagna elettorale, parlando di politica come servizio e carità e soprattutto dell’importanza di essere custodi della libertà e che, per mantenerla, sarebbe auspicabile che chi si candida e svolge un servizio apicale nella diocesi faccia un passo indietro, dimettendosi; lei che ne pensa?

La lettera del Vescovo ha un valore universale e contiene delle indicazioni molto importanti per tutti coloro che saranno impegnati nelle prossime elezioni. Voglio soffermarmi soprattutto sulla parola coraggio che è fondamentale nel mettersi a disposizione degli altri, perché con il coraggio si affrontano le sfide che giorno dopo giorno ci vengono proposte. Mi ha colpito molto il punto in cui Palmieri ci invita ad essere custodi della libertà che significa difendere la libertà di pensiero e di espressione di ciascuno di noi.

“La politica è la forma più alta di carità”, scriveva Pio XI nel 1927, e recentemente Papa Francesco nella “Laudato si” ha ribadito l’importanza di impegnarsi in politica in modo responsabile e onesto nel rispetto degli uomini e del creato, facendo gli interessi di tutti e non pensando solo ai propri; nell’ambito di questi valori, come si colloca il suo impegno politico?

Tutte le mattine mi chiedo cosa posso fare per la mia comunità e il concetto di servizio è per me come una stella cometa, perché noi dobbiamo pensare ad ogni singolo cittadino, non lasciando indietro nessuno, dobbiamo essere proiettati in un arco temporale medio lungo, in modo che ogni scelta che viene fatta sia responsabile e abbia una visione di lungo periodo. Al centro dell’azione deve esserci l’individuo. Un concetto espresso chiaramente dal Cardinale Petrocchi nel suo libro rivolto a tutti i politici. Il buon politico è il custode dell’intero sociale, mai semplice “uomo di parte”; impegnato in un’incessante e paziente tessitura dialogica; teso alla costruzione della città degli uomini come casa di tutti; attento lettore delle pagine, spesso confuse e contraddittorie, della storia per ricavarne linee di saggia progettualità, idonee a promuovere il progresso integrale della collettività e la piena realizzazione di ogni cittadino. Al centro dell’azione deve esserci la persona. Ogni decisione piccola o grande che sia deve essere trasparente e frutto di un progetto più ampio che includa tutta la società e che vede la mobilitazione delle migliori risorse per arrivare ad un bene comune. Quindi mai interessi di parte o del singolo ma solo progetti e soluzioni che guardino agli interessi di tutti.

Dai sondaggi emerge che il 50% dei giovani non va a votare. Molti si dicono nauseati dal modo di fare politica di molti amministratori e i dati dell’astensionismo non solo giovanile sono davvero preoccupanti, soprattutto perché certificano che per molti votare non ha più valore e non serve a cambiare le cose; cosa si può fare per invertire questa tendenza? Lei avverte questa responsabilità e la sente nel farsi testimone dei giovani?

L’astensionismo è un problema che è necessario affrontare con decisione. Credo però che si debba guardare anche alla persona che fa politica perché nell’azione amministrativa la differenza la fanno sempre le persone. Ci vuole il coraggio di servire. Essere servitori degli ultimi ricordando che quello che noi andiamo a fare è si frutto di una scelta personale per una sorta di vocazione alla politica, ma che deve essere una azione volta a mettere in campo lo spirito di servizio prestando il nostro tempo per la comunità. Noi dobbiamo essere bravi ad educare i giovani alla politica e alla vita amministrativa, questo si può fare attraverso percorsi formativi, creando luoghi di crescita e di confronto per favorire la partecipazione dei giovani.

Dal primo giorno del suo insediamento il vescovo Palmieri ha posto al centro dell’azione pastorale l’ascolto di tutti, inteso come attenzione attiva e autentica per mettersi al servizio degli altri e soprattutto degli ultimi; ascolto che deve essere rivolto anche a coloro che sono distanti dal nostro modo di pensare per cercare un punto di incontro e una partecipazione maggiore alla vita della comunità diocesana. Questo metodo, secondo lei, è trasferibile all’attività politica per favorire la partecipazione di tutti?

L’ascolto è il punto di partenza per avvicinare le persone che in questo modo possono comunicare correttamente le loro esigenze e le loro paure. Dobbiamo ascoltare tutti, non solo chi la pensa come noi, ma anche coloro che sono distanti dal nostro modo di vedere le cose. Dobbiamo dare voce anche a coloro che la pensano diversamente per poter dare a tutti la possibilità di esprimersi e manifestare soluzioni condivise che possano farci raggiungere obiettivi utili a tutti.

di Veruska Cestarelli