Uno dei fiori all’occhiello della scorsa edizione della rassegna Cinema Sotto le Torri, che si è svolta dal 19 al 26 agosto presso il Chiostro di San Agostino, è stata la proiezione del film Orlando di Daniele Vicari.

 La pellicola è incentrata sulla vita di Orlando: contadino reatino, solitario e campanilista. La sua vita verrà stravolta dalla notizia che vede suo figlio, Valerio, emigrato in Belgio da 20 anni, malato sul letto di un ospedale. Orlando giunto nel territorio fiammingo farà la conoscenza di Lyse, giovane ragazza adolescente figlia di Valerio, il quale negli anni precedenti ha sempre tenuto nascosto a tutti la sua paternità. In un clima di difficoltà, economiche e famigliari, Orlando e Lysa dovranno farsi forza per conoscersi e volersi bene in un territorio straniero.

 Orlando e Vicari: due gemme

Sono due le cose che sorprendono di più: la prima è la regia impeccabile di Daniele Vicari e la seconda è la splendida interpretazione di Michele Placido. Vicari muove la sua macchina da presa come specchio dei sentimenti dei suoi protagonisti. Siamo sommersi da una ripresa grandangolare che schiaccia il protagonista a quello che lo circonda. Gli attori, ripresi dal basso, vengono mostrati in tutta la loro fragilità, durante i loro turbamenti mentre la telecamera, sempre mobile, si muove vorticosa sopra la testa degli interpreti metaforizzando lo smarrimento dei personaggi e, di conseguenza, anche del pubblico.

Michele Placido realizza una delle sue migliori interpretazioni della sua carriera. Burbero, taciturno e riflessivo il suo modo di recitare restituisce la drammaticità degli eventi usando solo le espressioni facciali. Uomo di poche parole comunica i suoi turbamenti con le sue espressioni usando con il contagocce le parole. Italiano in uno stato dove non conoscono la sua lingua può parlare solo a gesti. Tutta la sua incomunicabilità è espressa bene dal suo modo di intendere la parte. La sua presenza dono una verosimiglianza di rilievo alla narrazione.

Il tema dell’emigrazione, dell’affido e dello morte è gestito in maniera superba dall’espediente narrativo che vede un vecchio contadino catapultato a forza in una metropoli multirazziale come Bruxelles. Lo scontro tra il contadino Orlando, reazionario, legato ai valori familiari e all’abitudinarietà, avviene con la globalizzata metropoli del nordeuropea che nonostante lo slogan di accoglienza diviene un luogo di smarrimento dove l’uomo viene relegato alla solitudine e al cinismo. I valori e le difficoltà contemporanee entrano in collisione con i diversi modi di vivere di Orlando. Uomo del secolo scorso distante dalla società globalizzata.

Criticità ad un grande racconto

La criticità maggiore del film sta nella costruzione del personaggio di Lyse. Il film si incentra sul punto di vista di Orlando creando un personaggio, quello della giovane nipote, estremamente stereotipato. Lyse non è la rappresentazione di una generazione complessa ma è la rappresentazione di come la vecchia generazione vede la nuova. Ridurre il secondo personaggio più importante ad una scatola di cinismo che si comporta in maniera irrazionale contro i propri interessi non provoca empatia ma distacco.

In conclusione

In sintesi, la pellicola è molto interessante: un dramma famigliare di ottima fattura che porta in evidenza tante tematiche della nostra epoca. Una pellicola perfetta per riflette sul repentino cambiamento della società negli ultimi 30 anni e di come (per fortuna?) la globalizzazione non abbia toccato tutte le persone.

di Quinto De Angelis