Mank di David Fincher: la recensione

Mank è una pellicola molto colorita, nonostante ci venga proposta in bianco e nero. Vediamo subito le tinte sgargianti di un’ Hollywood in cantiere, ma già spavalda e bella.

Il film è del 2020, diretto da David Fincher, con un grandissimo Gary Oldman perfetto nella parte del lunatico protagonista. Tra gli altri nomi di spicco compaiono Lily Collins, Amanda Seyfried e Charles Dance.

Si narra di Herman J. Mankiewicz, sceneggiatore alle prese con la scrittura di Quarto Potere. Egli, ridotto a letto da un infortunio, dovrà terminare in tempi molto brevi, nonostante i problemi con l’acool. Orson Welles, il committente, ha molta fretta e non fa sconti.

Mank è stato distribuito nelle sale cinematografiche americane a novembre dello scorso anno, ma la situazione pandemica ha impedito che potesse arrivare in molte più sale, soprattutto al di fuori del Paese. Finalmente i cinema hanno riaperto anche da noi, e abbiamo potuto vederlo e sentirlo, in tutta la sua eccentrica potenza, direttamente nella sala del Cine-Teatro Piceno, che vogliamo ringraziare per l’esperienza.

La pellicola è molto veloce e ricca di flashback, contenuti e personaggi, il che rende la storia completa, ma difficile da metabolizzare. Dialoghi e scene dense dipingono i protagonisti, che emergono in maniera prepotente. Abbiamo di fronte delle vere e proprie persone, caratterizzate con pathos. Salta all’occhio la teatralità di molte circostanze, esasperate per restare nella memoria.

Herman è un uomo contraddittorio, dal carattere fragile eppure irremovibile. Cerchiamo per gran parte della narrazione d’inquadrarlo, di farci un’idea su chi lui sia. Eppure non capiamo mai fin dove si spingerà.

Comprendiamo di trovarci di fronte a una persona buona, a tratti estrema nel manifestare il proprio pensiero, vittima di un sistema che divora il talento creativo. Ci sono scadenze da rispettare, possibilmente senza dare troppo nell’occhio e senza far indispettire i piani alti.

Scorgiamo un intonaco cadente, sotto i brillantini di Hollywood: dietro lo champagne e le risate, si consumano drammi nel completo silenzio.

Il film tratteggia perfettamente l’ambiente che si respirava in quegli anni difficili, in cui abbiamo un’America più patriottica che mai, mentre oltreoceano si cominciava a respirare un’aria pesante dovuta alla Germania nazista.

Ci colpisce anche per l’immagine che descrive il rapporto tra Mank e lo stesso Welles. I due non si amavano affatto. Uno era consapevole di essere talentuoso, ma snobbato dallo star system hollywoodiano per via delle sue idee politiche; l’altro era un giovane che si stava affermando velocemente nell’ambiente e non mancava di farlo notare.

Entrambi, però, hanno un legame unico che li porterà a firmare una delle opere migliori del cinema.

In conclusione, Mank di David Fincher non si fa mai pesante nel raccontare le vicende di quegli anni, e a narrarci parte della storia di un grande sceneggiatore quasi dimenticato.

di Federica Forlini e Leonardi Carboni