“La ragazza delle arance” di Jostein Gaarder è un romanzo delicato, struggente, fantasioso. Pubblicato in Italia nel 2004 ed è uno di quei libri che diventano manuali di vita. Una storia magnifica, che, senza filtri, racconta un rapporto dolce, intenso e inconsumabile che  lega per la vita un padre al proprio figlio. E’ una lettera che narra la storia di Jan Olav. Una lettera scritta dal padre prima di morire, che narra una storia d’amore “doppia” per le radici e per il frutto del proprio amore. E’ raccontata in prima persona, dal protagonista, quando era uno studente universitario. L’incontro con una ragazza, il primo approccio e l’evoluzione di un romanzo intenso sin dalle prime pagine, travolgente ed emozionante. Un giallo, un romanzo di formazione, una fiaba moderna, un puzzle da ricomporre, pagina dopo pagina. Un’atmosfera onirica accompagnerà il lettore durante l’intera storia che assumerà colore, odore, quesiti da risolvere, realtà da accettare.

Arance, amore e senso della vita

La ragazza delle arance, una sconosciuta che Jan aveva incontrato per caso su un tram di Oslo quand’era diciannovenne, ha un giaccone arancione perfettamente in tinta con il contenuto di un grosso sacco di carta che  reggeva tra le braccia: delle arance. L’emozione di voler far colpo sulla ragazza, il risultato buffo e ironico di un giovane inesperto che decide di volerla incontrare nuovamente. La ricerca inizia nei luoghi in cui Jan crede di poter trovare la ragazza. A volte le sfugge, altre riesce ad avvicinarla. La cerca anche oltre i confini della Norvegia. Il racconto è rivolto da Jan verso il figlio. Lentamente le sue domande verteranno sempre più frequentemente sul senso della vita. Il romanzo diventa così un percorso che il lettore intraprenderà ponendosi delle domande, le stesse che Jan pone al figlio. 

Il libro  viaggia tra dubbi esistenziali e certezze acquisite ed  è un vortice di riflessioni sulla vita e sulla morte. Un crescendo di emozioni che lascia senza fiato, un inno alla bellezza: quella che gli uomini dovrebbero imparare a contemplare.  Un inno alla gioia, anche di fronte alla morte e una graduale presa di coscienza che la vita non va sprecata. Questo viaggio che Gaarder ci propone non ha come meta una soluzione finale. Ci pone le domande per intraprendere il cammino verso l’introspezione e la sobrietà che caratterizza il suo stile. La lettera di un padre che, sapendo di essere in fin di vita, decide di lasciare al figlio un’importante eredità emozionale.

”Sognare qualcosa d’improbabile ha un proprio nome. Lo chiamiamo Speranza”.

Questo libro perfetto insegna così che amare veramente significa anche soffrire, ma sapere in ogni caso che non avresti fatto scelte diverse. Alterna  momenti di leggerezza  a momenti di profondità vertiginosa. Nella prima parte all’interno della meravigliosa storia d’amore troviamo vari temi più o meno approfonditi. Il desiderio, l’attesa e, uno su tutti, il tempo. Jan rivolge spesso delle domande dirette a suo figlio Georg attraverso la lettera. Domande che di conseguenza vengono poste al lettore stesso. Che cos’è il tempo? Quanto si è disposti ad aspettare qualcosa? Siamo capaci di sopportare la nostalgia? Più ci si avvicina alla fine del libro e più le domande che Jan ci rivolge sono complesse. Che cos’è un essere umano? Qual è il valore di uomo? Siamo solamente polvere che i venti sollevano in mulinelli e poi disperdono? Che cos’è questa grande favola nella quale viviamo e che ognuno di noi ha la possibilità di assaporare solo per un breve momento?

La seconda parte diventa più cupa. Jan infatti sa che dovrà morire di lì a poco e condivide con noi e il figlio le sue angosce e le sue paure. Viene assalito dal rancore nei confronti di questo mistero che è la vita che, prima ci ricolma di gioia, ma poi ce la strappa quando meno ce lo aspettiamo. Jan si chiede se sia giusto, se ne valga la pena. Ed è a questo punto che rivolge a Georg la domanda che attendeva di fargli dall’inizio della lettera.

“Immagina di trovarti sulla soglia di questa favola… Avevi la possibilità di scegliere se un giorno avresti voluto nascere e vivere su questo pianeta. Non avresti saputo quando saresti vissuto, e non avresti neppure saputo per quanto tempo saresti potuto rimanere qui. […]. Avresti solo saputo che, se avessi scelto di venire al mondo un giorno, o a tempo debito, allora un giorno avresti anche dovuto staccarti da esso e lasciare tutto dietro di te. […] Avresti scelto di vivere un giorno una vita sulla terra, breve o lunga? Oppure avresti rifiutato di partecipare a questo gioco perché non accettavi le regole?”

La ragazza delle Arance: Considerazioni sul senso del tutto

Questo è l’apice del libro: prendere in considerazione il mistero dell’universo e della vita da una prospettiva più ampia. E quello che era un inno alla vita si ribalta. Jan infatti afferma che se avesse saputo in anticipo come sarebbe stata la sua vita, avrebbe rinunciato a prenderne parte. Inoltre confessa di provare “una specie di senso di colpa” ad aver messo al mondo Georg. Questo poiché, in questo modo, si ritrova ad aver deciso al suo posto di catapultarlo nella favola della vita. Ed è proprio a causa di questo senso di colpa che Jan pone la fatidica questione al figlio. Se il figlio infatti ammettesse che, nonostante tutto, lui avesse scelto di vivere, Jan sarebbe assolto. Ovviamente, non potendo leggere la risposta, Jan chiede a Georg di rispondere in maniera indiretta e cioè attraverso il modo in cui sceglierà di vivere.

Le ultime pagine sono dedicate alle riflessioni di Georg. In un primo momento non sa come rispondere al padre. Prova a elaborare dei paragoni. “Se potessi assaggiare qualcosa di straordinariamente buono, ma poi potessi mangiarne solo un pezzo microscopico, lo assaggerei?” Georg è tentato dal rispondere di no. Ma continua a riflettere e infine, dopo un cambio di prospettiva  prende la sua decisione. Georg è deciso a vivere, comunque vada. Si riscopre entusiasta della vita. Sceglie di godere della vita. Ha già i suoi sogni, le sue passioni che vuole ardentemente portare avanti. È pronto alla sofferenza, alle sconfitte e a tutto quello che gli riserverà la vita nella sua interezza. È arrabbiato con chi ha stabilito le regole, ma non può farsi sfuggire un’occasione del genere! E dunque risponde al padre con una lettera brevissima e carica di gioia in cui lo rassicura di aver fatto la cosa giusta e augurandogli di riposare finalmente in pace. 

di Anna Maria Laurano