Anna Luisa Pignatelli torna a narrare la sua toscana, la vita in un borgo, il rapporto difficile, anche aspro, tra il protagonista e gli altri abitanti, ma questa volta il suo Agostino Neri detto Gosto, più che far pensare alle anime desolate di Tozzi, ci pare un vero povero Cristo evangelico, ”un uomo positivamente buono” come l’idiota di Dostoevskij, del resto citato sin dall’inizio come la prima lettura del protagonista, studente delle medie, cui il professor Papini aveva inculcato curiosità per la cultura.

E’ per questo suo amore per i libri, che lo rende diverso e meno malleabile, che il padre, un minatore, lo aveva soprannominato “Storto” ma Gosto è il “fiore cresciuto sull’asfalto e sul cemento” di Jovanotti. Sembra un paragone esagerato, perché parliamo di un protagonista adulto, anzi anziano, che ha conosciuto molto della vita e che quindi, come tutti coloro che hanno un vissuto importante, non può essere un ingenuo, uno sprovveduto, qualcuno che si stupisce davanti alla cattiveria e alle malelingue. Invece Gosto è esattamente così.

Il racconto si apre il primo giorno da pensionato di Gosto, dopo una vita passata come autista di un camioncino per le consegne di una grande azienda agricola, e l’atmosfera qui è sì cupamente tozziana: ”Steso sul materasso, gli parve di essere entrato nel tunnel silenzioso che si apre davanti a chi, terminata la vita attiva, ha per meta solo la morte”. Gli vengono in mente i suoi amici che di fronte alla solitudine della vecchiaia, alla monotonia delle giornate sempre uguali, alla frustrazione del non sentirsi più utili  si erano, uno appeso a una trave, l’altro buttato in un pozzo. Ma è solo un momento costruito a contrasto col carattere e l’amore per la vita di Gosto che invece segnano tutto il resto del racconto. “La morte, se ti metti a pensare a lei, perde vigore. se la guardi in faccia, s’allontana: s’approfitta di quelli che la temono per annientarli anzitempo. Gosto voleva dimostrarle che non si faceva abbattere dalla sua prossimità, che anzi ricavava soddisfazione dai giorni che gli restavano da vivere”.

Il protagonista percorre l’ultima parte della sua vita, in una casa di campagna, (Focai) ereditata dal suo padrino quando era molto più giovane. Vive in un paese scelto anni prima, Castelnuovo, per condurre la sua esistenza con sua moglie Zelia e con Mirella, la figlia avuta qualche tempo dopo. Castelnuovo si rivela un luogo in cui nessuno dei due coniugi si sente accettato. La differenza tra Gosto e Zelia è però evidente. Se Gosto è una persona dal profilo basso, che si fa i fatti suoi e preferisce fare passeggiate nella natura ad ogni altra cosa, Zelia è una persona piuttosto cinica che ha trovato nel pettegolezzo l’unica via d’uscita alla vita, in quel paesino che le sta stretto e del quale non si è mai sentita cittadina.

Un rapporto, quello tra i due coniugi, che il tempo deteriora giorno dopo giorno. I silenzi tra i due sono molto più eloquenti delle parole, sino a riempire tutto tanto che Zelia, esasperata, infine lascia il marito proprio quando Gosto va in pensione. Ma Gosto si rimbocca le maniche e riprende il filo della sua vita cominciando a rimettere in ordine la sua proprietà e, spesso, riemergono ricordi che riaprono ferite. Come un Cristo che fa del bene, che è sempre disponibile verso gli altri, pur patendo le prese in giro, le critiche e le prepotenze del signorotto locale, il Terzi, Gosto nutre fiducia profonda nel prossimo ”così come la convinzione che chiunque fosse in grado di distinguere il bene dal male gli aveva permesso, nel corso dell’esistenza, di sentirsi meno solo”. Non a caso nel suo podere pianterà quelle piante simboliche che sono gli ulivi.

Girando per il borgo, si riconosce nell’intraprendenza del meccanico Nuccio a cui si affeziona e a cui vorrebbe lasciare la proprietà e il campo di ulivi quando capisce che non sarà in grado di curarli  e che la figlia, pare interessata solo alla loro vendita. Ma Castelnuovo, il paese toscano in cui abita, non ama i sognatori e quelli che vogliono stare per conto loro, scopre poi che anche Nuccio è solo interessato a vendere il campo, inoltre le maldicenze su di lui si  infittiscono e non gli danno tregua. A un certo punto sparisce dal paese Stella, una ragazza che Gosto guardava con ammirazione per la sua bellezza e indipendenza di giudizio: lui teme che le sia successo qualcosa di brutto ma i carabinieri respingono la sua denuncia. Alla fine privato di tutte le sue speranze, Gosto si presenta alla moglie, anche lei è vinta dalla vita  e pur riconoscendo in lui la bontà e una ragione di vita diversa dalla sua, è ormai spenta e incapace di accoglierlo.

Questo è  un  libro che può essere considerato “metafora” della vita. E’ scritto con uno stile asciutto, una precisione nello sguardo, un procedere piano e arioso e con una lingua pulita anche nell’atmosfera. Tutto ciò lo rende un inquietante romanzo dalla misura quasi perfetta.

“Il campo di Gosto”

Anna Luisa Pignatelli

Fazi editore, 2023 

 

 di Anna Maria Laurano