di Michele Picciolo, Direttore Scientifico della Pinacoteca Vescovile

Nei giorni in cui ricorre il quinto anno dal terribile terremoto che nel 2016 ha sconvolto il nostro territorio ricordiamo il sisma non meno disastroso e violento che il 2 febbraio 1703 causò grandissime distruzioni e gravissimi lutti in diverse località dell’Umbria, del Lazio, della Marca e del vicino Abruzzo e risparmiò, almeno in vite umane, la città di Ascoli.

Sant’Emidio protettore dai terremoti

Appena un anno dopo e cioè il 14 febbraio 1704 il vescovo Giovanni Giacomo Bonaventura (1699-1709) coadiuvato dai Canonici della Cattedrale, per ringraziare dello scampato pericolo ed onorare degnamente il Santo Patrono Emidio che da allora venne dichiarato definitivamente protettore dai terremoti, diede incarico all’architetto Giuseppe Giosafatti di realizzare alcuni ammodernamenti nella cripta medievale, che da oltre mezzo millennio ne accoglieva le spoglie, secondo il gusto barocco dell’epoca.

I lavori nella cripta

I lavori consistettero nel rialzamento della parte centrale della cripta che comportò una certa compromissione dell’aspetto architettonico del transetto superiore della Cattedrale, la demolizione di sedici crociere nella parte centrale della cripta, la sostituzione di diverse colonne antiche con nuove appositamente realizzate in breccia rossa di Verona, per ricordare il sangue versato dal primo vescovo ascolano, con basi e capitelli in bianco di Carrara e la nuova sistemazione dell’area presbiteriale compreso l’altare e la sostituzione del simulacro del Santo protettore.

La nuova scultura in marmo

Per questo nuovo e solenne ambiente venne realizzata una nuova scultura in marmo di Sant’Emidio che sostituì quella in legno policromo risalente al 1618, oggi conservata nella nuova Pinacoteca vescovile che abbiamo descritto nel numero di luglio. La nuova statua in marmo bianco di Carrara venne scolpita negli anni 1726-1730 da Lazzaro Giosafatti (1694-1781), figlio di Giuseppe, poliedrico artista che si era formato a Roma presso lo zio Lazzaro Morelli collaboratore del grande architetto e scultore Gian Lorenzo Bernini nei maggiori cantieri aperti a Roma durante i pontificati di Alessandro VII e di Clemente IX ed esecutore di almeno 46 delle 140 statue di santi che popolano il coronamento superiore del colonnato della Basilica di San Pietro. Lazzaro, dopo l’apprendistato ad Ascoli presso la bottega del padre, fu mandato a perfezionarsi a Roma nello studio dello scultore Camillo Rusconi dal quale apprese scioltezza nella realizzazione delle forme e sicurezza nella composizione plastica, divenendo buon interprete delle nuove tendenze classiciste allora di moda.

Lazzaro Giosafatti

Il giovane artista era rimasto fortemente impressionato dal modello del monumento funerario a Papa Gregorio XIII realizzato dal Rusconi nella Basilica Vaticana e dalle sculture degli Apostoli collocate nella Basilica di San Giovanni in Laterano che rappresentano la sintesi delle istanze classiciste e tardo-barocche derivanti da Alessandro Algardi del quale conosceva il Battesimo di Cristo e il monumento funerario di Papa Leone XI. Lazzaro mostra inoltre di conoscere molto bene le opere del Bernini del quale, per la realizzazione della sua opera ascolana, studiò con particolare attenzione il panneggio della scultura rappresentante l’estasi di Santa Teresa d’Avila realizzata tra il 1645 e il 1642 per la Cappella Cornaro e quello dell’estasi della Beata Ludovica Albertoni scolpita nel 1674 per la chiesa di San Francesco a Ripa che presentano evidenti affinità con il manto della sua Santa Polisia.

Il gruppo scultoreo

Il gruppo scultoreo realizzato per la cripta della Cattedrale ascolana rappresenta Sant’Emidio che battezza Polisia, ha le dimensioni generali di cm. 190×225, è composto da due statue separate e accostate realizzate in marmo bianco di Carrara ed è di grande impatto visivo sia per l’eleganza, per la raffinata sintesi esecutiva, per l’articolata torsione e la forma piramidale. Il giovane Santo è vestito con paludamenti vescovili, calca sul capo un’alta mitria e mentre con la mano sinistra raccoglie l’ampio piviale con la destra versa l’acqua sul capo reclinato della neofita genuflessa ai suoi piedi avvolta in un ampio mantello.

La collocazione dell’opera

Il monumentale gruppo scultoreo fu collocato con solenni cerimonie nella navata centrale della cripta, appena ammodernata a spese di Giuseppe Giosafatti dopo il disastroso crollo delle volte avvenuto durante i lavori, su un alto basamento posto dietro l’altare che era stato sostituito da un sarcofago di epoca romana risalente al II-III secolo d.C. nel quale erano stati deposti i resti di Emidio e dei compagni Euplo, Germano e Valentino ritrovati secoli prima nella necropoli di Campo Parignano.

Ancora oggi nella Cripta restaurata

L’opera con la sua candida lucentezza emerge ancora oggi dalla penombra dell’ambiente circostante che ha conservato la sua facies medievale e dalle cui pareti e volte sono stati recentemente recuperati gli antichi affreschi che erano stati celati sotto strati di scialbi e dei quali si era persa memoria. La scultura era stata richiesta per disposizione testamentaria dall’Arcidiacono Luigi Lenti che era morto nel 1718 e per ottemperare al suo voto e cioè “d’adornare l’altare del nostro glorioso S. Emidio nella chiesa sotterranea di questa Cattedrale e fare ivi la statua di marmo di detto Santo”, l’opera fu fatta realizzare dai nipoti Bernardo Lenti e Felice Antonio per un compenso all’artista di 600 scudi provenienti dal lascito dello zio.

L’epigrafe

L’epigrafe scolpita sul retro del basamento, ornato sui due lati dagli stemmi della nobile famiglia Lenti e sul retro da un serto intrecciato con rami di palme e foglie di alloro recita:

D. O. M.

DIVO EMIGDIO EPIS°, ET MARTIRI ASCULANAE URBIS PATRONO DIVAEQ. POLISIAE/ PRO SUO IN UTRUMQ. CULTU STATUAS HAS MARMOREAS CUM BASI, ET GRADIBUS/ ALOYSIUS LENTI PATRITIUS ASCULANUS HUIUS ECCLESIAE ARCHIDIACONUS/ SUA PECUNIA PONENDAS CURAVIT/ DUM VIII KAL. NOV. AN. MDCCXVIII VIVERE DESIIT.