L’emigrazione è un problema molto attuale. Ogni giorno in Italia arrivano centinaia di migranti da Paesi lontani su piccole imbarcazioni spesso senza ricevere né acqua né cibo. Questa gente disperata è formata da uomini, donne – alcune anche incinte – e bambini (spesso da soli). Purtroppo, molti di loro non resistono agli stenti e perdono la vita in mezzo al mare, tra l’indifferenza di gente senza scrupoli che li sfrutta col solo scopo di far soldi. Quelli che riescono a sopravvivere si ritrovano da un giorno all’altro in un Paese sconosciuto, di cui non conoscono la lingua e non sempre vengono accolti nel modo migliore.

Alcuni migranti, dopo varie peripezie, vengono rispediti nella loro terra, da dove avevano deciso di fuggire. Quelli che restano devono fare i conti con le condizioni di vita precarie e il razzismo di alcuni italiani, che li vedono come una minaccia per il nostro Paese. Queste persone hanno difficoltà a trovare lavoro, soprattutto in momenti di crisi come quello attuale che coinvolge tutti. Eppure sarebbe importante “accogliere” i migranti senza far vivere loro umiliazioni.

Storicamente il nostro Paese è stato più luogo di emigrazione che di immigrazione. Oggi tra coloro che lasciano il nostro territorio nazionale, i giovani rappresentano la fetta più consistente, per motivi di studio e di lavoro. Spesso non fanno ritorno, con conseguenze rilevanti sulla composizione sociale e culturale della nostra popolazione. Negli ultimi anni sono sorti in Italia vari musei locali e regionali dell’emigrazione, tra cui quello di Genova. Nelle Marche esiste quello di Recanati. Il museo è dedicato a tutti i marchigiani che, tra la fine dell’Ottocento e il Novecento, hanno preso la delicata decisione di abbandonare la terra d’origine. Decisione presa per dirigersi verso luoghi loro sconosciuti alla ricerca di “fortuna”. Su questo complesso tema un insegnante di Economia Aziendale, Franco Romanello, ha pubblicato: “Due vite e un sogno in bianco e nero”.

L’emigrazione spiegata in un libro. La storia di Giannino

Il libro racconta due storie di emigrazione: quella di Giannino e di Seyni. Il primo è “un ragazzo italiano della Calabria”, che sul finire degli anni sessanta del secolo scorso lascia il suo paese e parte per la Germania. Nel suo sud la disoccupazione era particolarmente grave e l’emigrazione era l’unica alternativa. Il giovane vive nel suo territorio con la mamma Filomena, che presta servizio a ore. Il padre, mastro Peppino, che lavora da sempre come manovale nell’edilizia, ma ormai ha minato il suo esile fisico, e altri congiunti. Ben presto Giannino inizia a lavorare come ragazzo di bottega da uno stagnino, poi con la sua valigia di cartone raggiunge un suo cugino che già lavora in Germania. La partenza è dolorosa perché deve lasciare anche la sua ragazza, Mariuccia, che gli sussurra tra le lacrime: “Gianni, torna presto!”. Arrivato a destinazione, vivrà in una casetta di legno, soffrirà il freddo e lavorerà in una multinazionale della chimica, in “un reparto pericoloso, […] chiamato l’inferno”, ma i guai non finiscono qui…

La storia di Seyni

La storia di Seyni è più complessa e dolorosa. Vive in una misera capanna in Niger, il padre è morto di tifo e il vero sostegno della famiglia è il nonno che coltiva un piccolo orto. Frequenta la scuola, ma deve percorrere quattro chilometri per raggiungerla, ama studiare, conosce francese e inglese, si diploma e si laurea in Economia. Vorrebbe restare nella sua terra, ma non trovando lavoro decide di partire per raggiungere l’Italia, “considerata la porta di ingresso dell’Europa”, per poi arrivare in Francia, dove vive uno zio. Deve pagare parecchi dollari, affidarsi a dei contrabbandieri e raggiungere un campo profughi in Libia. Qui conosce Jemola, una ragazza del Ciad, anch’essa in fuga dal suo Paese. I due raggiungono il nostro Paese, restano per oltre un mese nel CAS, riescono a fuggire. Successivamente raccoglieranno arance nella piana di Gioia Tauro, subiranno minacce da tipi violenti e vivranno tante altre traversie…

E lo scrittore immagina pure un incontro, nel sogno, tra Giannino e Seyni, in cui tutto può accadere… La lingua di Romanello è chiara e ricca di brani in dialetto calabrese. Numerose le riflessioni e tante le citazioni, come questa di Adam Smith. “Non c’è società fiorente e felice in cui la maggior parte del numero di persone sia povera e miserabile”.

Franco ROMANELLO, Due vite e un sogno in bianco e nero, Ascoli Piceno, Lìbrati, 2022, pp.101, € 15,00.

di Luciano Luciani